Dipendenza come annullamento magico e onnipotente della realtà

Un’altra idea sulla dipendenza è quella che essa ricrei una condizione di onnipotenza che somiglia a quella sperimentata dal neonato allattato al seno.

Onnipotenza infantile: l’epoca in cui tutto era perfetto.

Che percezione ha di sé un neonato? Di sicuro, non  possiamo saperlo con certezza, ma molti psicoanalisti si sono interrogati su questo e hanno ritenuto di poter dire che il cucciolo d’uomo, nelle prime fasi di vita,  non ha ancora una consapevolezza di dove finisca lui e dove inizi la madre; non sa distinguere tra stimoli che arrivano da fuori e sensazioni che arrivano da dentro (fame, sonno, male..). Si pensa che in questa condizione di fusione tra lui e la mamma e tra lui e il mondo circostante, il neonato sperimenti un senso di sé in cui si sente felice, forte, potente. Per il lattante, infatti, il desiderio si traduce immediatamente in soddisfazione del desiderio stesso. Se il neonato ha fame riceverà nutrimento, se è angosciato riceverà consolazione, se ha sonno avrà coccole per dormire. Lui non sa che il tutto è mediato dalla mamma. Fa l’esperienza di una realizzazione magica dei desideri. Come se dicesse a se stesso: “Desidero e quindi ottengo! “. È per questo che molti autori parlano di onnipotenza.

Quando si cresce poi tutto cambia. Scopriamo invece che la realizzazione dei desideri passa sempre attraverso un confrontarsi con la realtà, e che ottenere significa in certi casi sapere aspettare, lavorare nella direzione di ciò che si vuole. Col tempo, comprendiamo che non è sufficiente il semplice volere per ottenere. Capiamo che dobbiamo invece faticare per soddisfare i bisogni, per stare bene, e che dobbiamo accettare la frustrazione che deriva dal non essere onnipotenti e dal fatto che possiamo fare tanto ma non tutto..

Quanto ho appena detto vale anche per le relazioni: avere delle relazioni affettive sane, felici, serene, significa non considerare più l’altro, solo nell’ottica di quanto possa soddisfare il nostro bisogno, di quanto possa farci sentire al centro del mondo, come se l’altro fosse una funzione di noi stessi, come se fosse una nostra protuberanza. Dobbiamo accettare che egli sia diverso da noi, che abbia sue prerogative, suoi obiettivi, sue idiosincrasie. È necessario maturare un sentimento che riconosca l’alterità dell’altro anche in un rapporto affettivo profondo. È fondamentale accogliere l’altro come entità autonoma, anche nel caso in cui si tratti di un partner, di un genitore, un figlio. E’ necessario rinunciare alla pretesa infantile che l’altro sia per noi l’occasione per vederci più belli, più capaci, più potenti,  o semplicemente più accettabili. Dobbiamo cercare nell’altro una persona con cui condividere e non uno specchio per ammirarci.

Onnipotenza infantile come precursore della dipendenza

Secondo molti psicoanalisti, la condizione di onnipotenza vissuta nelle prime fasi di vita rappresenterà per sempre una esperienza seduttiva, qualcosa che eserciterà un fascino irrefrenabile. E’ come se una parte di noi “ricordasse” quella condizione in cui l’Io era un Io ideale. E questa memoria serva da traccia per ricreare qualcosa di simile quando si cresce e si verificano intoppi. In altre parole, se qualcosa nello sviluppo va male, c’è il rischio che il soggetto tenti di mantenere o ricreare uno stato di fusione onnipotente, per perpetrare le stesse condizioni di  forza, potenza, assenza di problemi e risoluzione magica di ogni frustrazione. Questo avviene per esempio in alcuni funzionamenti di personalità, detti narcisistici ; Ma può essere una componente osservabile anche in molte dipendenze.

 

Dipendenza come il ritorno all’epoca dell’estasi infantile

La condizione vissuta con l’oggetto di dipendenza (la sostanza, o il cibo, o il perdersi in un video gioco ..) può essere vista quindi, anche come un modo per rimanere ancorati per sempre o per ritornare virtualmente a quella dipendenza precoce in cui si era come dei piccoli Dei, esseri perfetti e ideali tra le braccia della mamma . E’ una situazione in cui scompare la sensazione di essere indifesi, piccoli, inadeguati. In quello stato non c’è frustrazione, non c’è insicurezza, nessun rischio di ritorsione, nessun dolore.. E’ quello che succede nei brevi istanti in cui ci si immerge nell’oggetto di dipendenza: il cibo nelle dipendenze alimentari, il gioco nella ludopatia, il sesso, il videogioco, ecc. sono ascensori che ci riportano per qualche istante ad un piano dell’esistenza in cui viviamo un’estasi. Essa è fatta dall’ebrezza del piacere,  dal senso di onnipotenza, che annulla tutte le pressioni e i problemi.

La dipendenza è quindi la ricerca di un luogo protetto in cui è possibile attutire le pressioni che la realtà con le sue richieste e i suoi vincoli produce nelle nostre esistenze, in termini di frustrazioni, di compromessi, di delusione dei desideri. E’ un modo per sperimentata una sensazione di onnipotenza come quella sperimentata dal neonato tra le braccia della mamma.

Per esempio,  un ragazzo che si isola nei suoi universi virtuali (internet, social, videogiochi) ha l’occasione di avere una vita parallela in cui essere altro dal Sé misero e derelitto sperimentato nella quotidianità. Può essere finalmente potente,  efficace; può sentirsi più capace e ammirabile. Può diventare un leader, assumere identità eroiche, sentirsi un eletto, almeno in quel mondo digitale che copre lo squallore che ricopre il sé ufficiale.

Articoli consigliati

Quando viviamo una condizione di disagio che deriva dal lavoro, da una relazione, da una…
Cos’è la co-dipendenza?   Una persona co-dipendente si sente talmente coinvolta con qualcuno, in debito…
La depressione è bugiarda! Ci dice che siamo inutili, che a nessuno importa di noi…
Quando parliamo di personalità in ambito clinico ci riferiamo a qualcosa che non è molto…