Disturbi dell’alimentazione

Quello dei disturbi alimentari non è purtroppo un tema sconosciuto ed esclusivamente specialistico, ma è diventato un tema sociale. Ne parlano i giornali, la televisione, si fanno incontri nelle scuole con studenti e insegnanti. I genitori sono attenti e a volte preoccupati di fronte ad atteggiamenti inusuali che i figli manifestano nei confronti del cibo. Se c’è una categoria di disturbi che caratterizzano il nostro tempo e la nostra società occidentale, è proprio quella dei disturbi dell’alimentazione.

Possiamo definire questi ultimi come grossolane alterazioni del comportamento alimentare, che comprendono sostanzialmente due categorie specifiche e cioè l’anoressia e la bulimia. Oltre a questi quadri troviamo in questo ambito, altre costellazioni atipiche, come per esempio il disturbo da alimentazione incontrollata, ovvero un quadro di bulimia in cui sono assenti condotte di eliminazione dell’eccessivo apporto calorico. Per questo, tale disturbo si associa normalmente a obesità.

Per quanto riguarda anoressia e bulimia, molti autori ritengono che le due sindromi siano nettamente separate, poiché caratterizzate, in certi casi, da modalità in netto contrasto (per esempio la rigida autodisciplina e il controllo dell’anoressia rispetto all’impulsività della bulimia). Altri autori, invece, sostengono che le due sindromi siano facce della stessa medaglia, cioè espressioni diverse di difficoltà analoghe, riguardanti la mentalizzazione del corpo: ciò spiegherebbe il motivo per cui in moltissimi casi esiste un’oscillazione, nello stesso soggetto, da sintomi di tipo anoressico e sintomi bulimici.

Io credo che anoressia e bulimia si possano considerare come espressioni diverse di un unico disturbo di base.

Anoressia come riconoscerla

Per anoressia si intende una modalità comportamentale e psicologica incentrata sul privarsi del cibo per perseguire l’obiettivo di una sempre maggiore magrezza. Normalmente esordisce nella prima adolescenza.
Al contrario di quanto si può immaginare, il soggetto anoressico sente lo stimolo della fame, ma ritiene di doverlo controllare per evitare di acquisire peso. L’idea del controllo del peso assume forma ossessiva, nel senso che diventa la preoccupazione dominante intorno alla quale viene organizzata la condotta relazionale. Anche il livello di autostima e l’umore sono legati a quanto il soggetto sente di essersi controllato e al responso della bilancia che, misurando il peso, gli dà un indice del proprio valore.

La magrezza viene ricercata non solo attraverso la rinuncia al cibo, ma anche attraverso una serie di condotte di eliminazione, come il vomito indotto, l’attività sportiva esagerata e l’uso di sostanze quali diuretici o lassativi.

Tutto questo si associa, spesso, a una percezione del corpo alterata (dismorfofobia): il soggetto, pur essendo esageratamente magro, continua a percepirsi e sentirsi come troppo grasso.

Nelle donne, la riduzione del grasso corporeo produce amenorrea, cioè la perdita del ciclo mestruale. Spesso sono presenti anche stipsi, dolori addominali, intolleranza al freddo, rallentamento del ritmo cardiaco e lanugo, cioè la comparsa di peluria sul tronco. Il controllo dei bisogni spesso coinvolge anche la dimensione sessuale che risulta limitata.

Bulimia come riconoscerla

Per bulimia si intende una condizione per certi versi opposta a quella dell’anoressia poiché il controllo cede il passo all’impulsività. Anche il soggetto bulimico aspira alla magrezza, ma non riesce a controllarsi: ci sono episodi in cui il desiderio di cibo diventa irrefrenabile, e tutto questo sfocia nelle cosiddette abbuffate, cioè episodi in cui il soggetto ingurgita grandi quantità di cibo in modo vorace, compulsivo, senza attenzione ai sapori e senza riuscire a fermarsi.
La cosiddetta orgia bulimica avviene in solitudine e prosegue fino quando il soggetto non si sente così pieno da stare male. Subito dopo si sente in colpa, è depresso, si autosvaluta per avere perduto il controllo, e cerca di riparare attuando le cosiddette condotte di eliminazione, come il vomito autoindotto, l’uso di lassativi e diuretici. Le conseguenze del vomito autoindotto sono, a lungo andare, devastanti per la salute: problemi gastrici, erosione dello smalto dentale, disidratazione, ipotalassemia e disfunzioni cardiache.

Grazie alle condotte di eliminazione, il peso tende a mantenersi su quote normali.

Anche la bulimia come l’anoressia è più diffusa fra soggetti di sesso femminile.

I soggetti bulimici raccontano spesso della sensazione di disorientamento e di estraniamento quando perdono il controllo di sé durante le crisi bulimiche, come se fossero in una sorta di trance. Come per le anoressiche anche per i soggetti bulimici esiste una modalità di regolazione dell’autostima che sembra essere legata alla capacità di mantenere la forma fisica e il peso desiderato.

Obesità

Non possiamo considerare l’obesità come un fenomeno alla stregua di anoressia e bulimia. Ci sono vari tipi di obesità. In molti casi la ragione dell’aumento ponderale è di tipo fisiologico e metabolico e non ha a che fare con particolari fattori psicologici. Quando invece l’obesità è connessa con problemi di natura psicologica, si parla di obesità psicogena e possiamo trovarci di fronte a due categorie di soggetti.
Da una parte coloro nei quali l’obesità è legata a vicende esperienziali dello sviluppo, in questi casi sono presenti, oltre che eccesso ponderale, altri disturbi a livello di funzionamento della personalità, che ci fanno pensare a una evoluzione psichica, emotiva e relazionale con elementi distorsivi. Allora l’obesità si collocherà nell’ambito di disturbi specifici della personalità.

Dall’altra troviamo invece soggetti che diventano obesi in seguito a un qualche avvenimento traumatizzante, parliamo in questo caso di obesità reattiva. Essa sembra svilupparsi in risposta a un trauma emotivo, spesso connesso con il tema della perdita e della morte. Può verificarsi un eccessivo aumento ponderale, per esempio, dopo la perdita di una persona cara o un evento che suscita particolari timori di morte o lesioni. In questi casi l’obesità sembra svolgere la funzione di riparo contro l’ansia e contro la reazione depressiva.

In generale nell’obesità psicogena il cibo è una specie di soluzione magica alle difficoltà del vivere, un anestetico al dolore che ci si porta dentro. Capita di osservare in questi soggetti una modalità che consiste nell’elaborare le emozioni “mangiandole”. Se nella malattia psicosomatica le emozioni sono proiettate sul corpo, nell’obesità si cerca di digerirle sotto forma di cibo. Il grasso rappresenta una corazza che difende dalla sofferenza ed è allo stesso tempo un contenitore di emozioni: più grande diventa più dolore e angoscia si possono contenere.

Fattori individuali che predispongono al disturbo alimentare

Lo sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare dipende da vari fattori di rischio individuali che possono facilitarne l’insorgenza:
  1. Il sesso femminile: anoressia e bulimia sono condizioni molto più diffuse in soggetti di sesso femminile, anche se può colpire pure soggetti di sesso maschile.
  2. L’età adolescenziale: il passaggio e le trasformazioni profonde dell’adolescenza che riguardano il corpo, cioè l’elaborazione della capacità sessuale e la costruzione dell’identità adulta, con conseguente separazione dall’immagine di sé infantile, possono essere, in molti casi, aspetti importanti per comprendere le ragioni del disturbo. Spesso è presente un rifiuto della propria femminilità e del corpo sessuato adulto. Per esempio, nel caso dell’anoressia, il disturbo sembra architettato per impedire al corpo femminile sessuato, che fa la sua comparsa in adolescenza, di esistere; come se si volesse ritornare nel corpo della bambina che si è stata.In diversi casi da me osservati, il sintomo anoressico compariva dopo un fallimento nell’accesso ai ruoli sessuati adulti, per esempio dopo una precoce delusione amorosa. Era come se quel corpo nuovo, germogliato dopo la pubertà, non fosse riuscito ad assicurarsi gli stessi sguardi ammirati che riceveva nell’infanzia, nel mondo familiare. Quando le cose vanno così, il corpo sessuato di donna diventa nemico e va contrastato. È per questo che con l’anoressia vengono annullati i cambiamenti corporei adolescenziali che fanno diventare la ex bambina una donna: vengono annullate le rotondità femminili, la capacità generativa, la possibilità di essere oggetto di desiderio, ecc.  Anche molti casi di bulimia e obesità psicogena possono essere spiegati mettendoli in relazione con le dinamiche evolutive adolescenziali di separazione dal Sé infantile, di elaborazione del corpo adulto sessuato, di individuazione come soggetto adulto e sessuato e di nascita sociale.
  1. La bassa autostima: bassa autostima e disturbo alimentare vanno spesso insieme. Le persone che ho potuto conoscere con sintomi bulimici o anoressici avevano sempre una scarsa consistenza del Sé: l’aggregato di sentimenti e rappresentazioni riferite a se stesse, che le definiva, sembrava un edificio un po’ diroccato, indefinito, bisognoso di conferme e attenzioni continue.Un Sé di questo tipo, poco strutturato, determina spesso conseguenze sul piano della rappresentazione somatica e influenza il rapporto che il soggetto ha con il proprio corpo, poiché quest’ultimo è simbolicamente confine e analogia del Sé. Rendere decrepito il corpo, affamandolo o rimpinzandolo all’inverosimile, sembra volere indicare un sentimento di sé altrettanto decrepito: quando lavoro con persone con disturbo alimentare so che è fondamentale focalizzare insieme al paziente questo aspetto.
  1. La presenza di traumi o abusi sessuali infantili, specie nel caso della bulimia: molte osservazioni suggeriscono un legame tra eventi traumatici e disturbi alimentari. Per traumi mi riferisco a eventi come maltrattamenti fisici o psicologici, separazioni importanti dalle figure di attaccamento, lutti, malattie e abusi sessuali.
  2. Un attaccamento insicuro: attaccamenti di tipo preoccupato, evitante o disorganizzato costituiscono modalità di funzionamento che si osservano costantemente, come sfondo di un disturbo alimentare.
  3. Spesso i disturbi dell’alimentazione si associano a un disturbo di personalità. L’anoressia si associa frequentemente al disturbo ossessivo-compulsivo, al disturbo narcisista, e al disturbo dipendente. I soggetti bulimici presentano sovente un disturbo borderline o narcisista.

Fattori familiari che predispongono al disturbo alimentare

Anche certe dinamiche familiari in cui il soggetto è inserito si osservano spesso in concomitanza con un disturbo dell’alimentazione. Fattori di rischio familiari predisponenti sono:

  • La presenza di un disturbo alimentare in altri membri familiari, soprattutto la madre.
  • Anoressia: difficoltà con i genitori. 

Le madri delle ragazze anoressiche spesso non riescono a vedere le figlie come qualcosa di diverso da sé. Non riescono a confermarle come entità autonome, non danno rispecchiamenti, né convalide, né rassicurazioni sufficienti, tranne quando adottano il loro punto di vista. Di contro, l’unico modo che le figlie hanno di farsi vedere è quello di rincorrere le loro madri, di adottare il loro punto di vista ed essere compiacenti. Sono state bambine che non hanno vissuto la propria vita; esistevano solo nella misura in cui riflettevano la madre. Come se a un certo punto non ci fossero più state sul palcoscenico e avesse preso il loro posto un personaggio “falso”, che recitava la parte della brava bambina, accondiscendente, prima della classe, ubbidiente.

Il padre dell’anoressica è sovente assente, superficiale, poco interessato. Volta le spalle emotivamente alla figlia proprio quando lei ne ha più bisogno. Oppure come la madre, le richiede conferme e nutrimento affettivo invece di darne.

L’anoressia è radicata in un disturbo del Sé; è la sindrome del non esistere come entità autonoma. Da una parte , ridurre il corpo a uno spettro rappresenta questo non esserci, dall’altro attraverso la dura disciplina a cui il soggetto si sottopone, cerca di sviluppare un senso di efficacia e un Sé individuale più consistente.

  • Bulimia, difficoltà con i genitori.

Le storie di ragazze bulimiche riportano spesso situazioni di conflitto con i genitori, abusi e traumi relazionali, scarso dialogo affettivo con loro e non rispetto dei confini individuali. Nelle loro storie sono più presenti la rabbia, l’aggressività, la cattiveria, l’intrusione. La relazione con la madre è simile a quella descritta sopra per l’anoressia: è una relazione in cui sono scarse le distanze, c’è troppa fusionalità. Solo che nel caso del soggetti anoressici la madre risulta più evanescente mentre in quelli bulimici appare più intrusiva. Questo fa sì che emergano sentimenti di rabbia per questa invasione, che produce, a sua volta, bisogni di espulsione dell’altro. Il bulimico oscilla tra l’essere fuso e invischiato con la famiglia e il sentire di doversi liberare senza riuscirci: è per questo che sente l’invasione. Sente che avere l’altro dentro non è occasione di comprensione, empatia e riconoscimento reciproco, ma somiglia di più a un assedio a una sorta di colonizzazione affettiva. Per questo, orfano di un coinvolgimento emotivo e di un rispecchiamento positivo, alla fine si sente vuoto e prova un irrefrenabile bisogno di riempirsi, e lo fa con il cibo. Ed è per questo stesso motivo che, pieno di una presenza parentale che, a torto o a ragione, percepisce come invadente, cerca di espellere l’altro che lo colonizza, vomitando.

  • Disturbi alimentari, dinamica familiare:

La dinamica familiare è caratterizzata da una matrice familiare che fagocita quella individuale. Minuchin (1978) le definisce famiglie invischiate. C’è una assenza di confini chiari nella famiglia: non ci sono distinzioni di ruolo (sono tutti amici e non ci sono ruoli educativi definiti), non c’è uno spazio fisico e psicologico privato (ricordo di una persona che mi raccontava che nella famiglia di origine non c’era l’abitudine di usare il bagno uno alla volta, era normale usarlo insieme). In queste famiglie sembrano mancare identità separate, ogni membro è ipercoinvolto nella vita degli altri, arrivando ad attuare un reciproco controllo (per esempio genitori che si sostituiscono ai figli nel percorso scolastico o figli che decidono su questioni che attengono alla coppia genitoriale).

Fattori sociali che facilitano il disturbo alimentare

Infine, ci sono anche dei fattori sociali che possono facilitare il disturbo alimentare. Ogni fase storica ha avuto dei disturbi che erano espressione delle culture emotive dominanti. La società repressiva fine ottocentesca produceva l’isteria. La società in cui viviamo è opulenta, caratterizzata dall’abbondanza e ci trasmette, attraverso la TV, i giornali, la pubblicità, riferimenti e modelli che mettono al centro il corpo, gli ideali di magrezza, di bellezza. L’importanza dell’estetica e dell’apparire rischiano di trasformare il corpo in un idolo e questo non può che facilitare espressioni psicopatologiche incentrate proprio su questo corpo super investito e divinizzato. È quello che capita con il disturbo alimentare.

Terapia dei disturbi alimentari

Il trattamento di questi disturbi necessita un intervento di tipo psicoterapeutico che deve essere modulato in relazione al caso specifico e alla gravità. In caso di anoressia, va prima di tutto valutata la situazione del peso. Se il soggetto è troppo magro, tanto da destare preoccupazioni rispetto alla sua salute, o peggio per la sua sopravvivenza, sarà necessario predisporre un intervento, anche ospedaliero, finalizzato all’aumento del peso.
Quando le componenti familiari del disturbo risultano importanti è indicato associare al trattamento individuale un trattamento familiare che affronti le dinamiche di invischiamento che sostengono il sintomo.

L’intervento psicoterapeutico individuale di tipo psicodinamico ha l’obiettivo di lavorare sulle dinamiche affettive che sostengono il sintomo che, come ho detto sopra, coinvolgono il piano narcisistico, quello oggettuale e quello relazionale.

Il punto di vista psicodinamico da me adottato mi fa dire che il sintomo anoressico è sostenuto da dinamiche emotive e che l’oggetto del trattamento riguarda proprio queste dinamiche emotive sottostanti, piuttosto che il sintomo in sé. Certo, non è semplice incontrare delle ragazze tanto magre da sembrare scheletri e non essere preoccupati del loro stato di salute, oppure non cedere alla tentazione di convincerle a mangiare. Ma so anche che c’è già una schiera infinita di persone (genitori, familiari, amici, insegnanti, dottori…) che cercano di convincerle a nutrirsi, e il risultato non è certo quello sperato: se lo facessi anche io, sarebbe soltanto un’altra occasione perduta. Quando lavoro con un’anoressica ricordo a me stesso che non devo cercare di cambiare il suo comportamento alimentare, ma che ho il dovere di affrontare, con lei, tutto quello che c’è dietro le quinte. Questo atteggiamento spesso è motivante per le pazienti, perché capiscono che io non sono lì per “riempire loro lo stomaco”. Mi interessa di più la loro vita interiore, voglio parlare con loro dei loro turbamenti, delle loro preoccupazioni, dei loro desideri. Se volessimo utilizzare il punto di vista di Weiss (Come funziona la psicoterapia, 1999) potremmo dire che il sintomo anoressico è paragonabile a una prova che la paziente presenta al terapeuta: l’unico modo per superarla e iniziare proficuamente la psicoterapia è quello di non fermarsi alla facciata (il corpo deperito) ma andare alla sostanza, la vita emotiva della paziente.

In moltissimi casi l’anoressia è anche associata a un disturbo di personalità. I disturbi di personalità che più frequentemente  la affiancano sono il disturbo narcisista, quello dipendente e quello ossessivo-compulsivo. In questi casi il trattamento psicoterapico di tipo psicodinamico è il trattamento d’elezione più efficace.

Anche per il trattamento della bulimia è necessario fare una valutazione del livello di gravità. Schematicamente possiamo dire che 1/3 dei pazienti non presenta grosse compromissioni a livello di funzionamento della personalità. In questi casi può essere sufficiente un percorso di psicoterapia breve a matrice psicodinamica o cognitivo-comportamentale.

Dei restanti 2/3, il 65% presenta un disturbo borderline e il 35% presenta altri disturbi di personalità o depressione significativa. In questi casi consiglio una psicoterapia psicodinamica associata, quando necessario, a farmacoterapia.

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