Depressione e disturbi dell’umore

Disturbi di natura depressiva

La depressione, a differenza della tristezza normale, è considerata un disturbo perché interferisce con il normale funzionamento lavorativo, scolastico e relazionale della persona, e perché perdura.

A differenza del dolore che a ognuno può capitare di sperimentare nella vita, che è temporaneo e ha un motivo ben preciso da noi conosciuto (per esempio un insuccesso, una umiliazione, la perdita di un amore, un lutto, ecc.), la depressione oltre a essere costante, oppressiva e durevole, produce uno stato d’animo negativo, senza che per noi siano molto chiari i motivi. Inoltre, a differenza di quanto capita nel lutto, ove si sente il mondo come vuoto o cattivo, i depressi sentono invece il vuoto, la cattiveria e la colpa in se stessi.

Tipologie e sintomatologia

Normalmente la depressione viene inserita entro la categoria dei disturbi dell’umore, ed è una etichetta generale che usiamo in molte situazioni ove si osservano i seguenti segnali:

  1. Umore depresso, per la maggior parte del tempo (soprattutto al mattino), fino a sentimenti di vera e propria disperazione.
  2. Diminuzione dell’interesse e del piacere nel fare le cose che prima erano interessanti; perdita del piacere della vita; diminuzione del desiderio sessuale. Trascuratezza nella cura del corpo e nell’aspetto.
  3. Sentimenti di autovalutazione o di colpa, o addirittura di odio verso se stessi. Senso di abbandono.
  4. Pensieri di morte.
  5. Agitazione, angoscia.
  6. Difficoltà a concentrarsi e a pensare a ciò che sta intorno: la mente sembra continuamente assorbita dal come ci si sente dentro.
  7. Rallentamento nello svolgere le attività quotidiane, stanchezza, mancanza di energia, senso di debolezza.
  8. Problemi di addormentamento o risvegli notturni improvvisi con impossibilità di riprendere sonno.
  9. Spesso alterazione dell’appetito.

Questi segnali non devono essere tutti necessariamente presenti per configurare un disturbo depressivo; essi possono comporsi in vario modo, a volte ne prevale uno, altre volte un altro, pur risultando preminenti il senso di tristezza e di malinconia.

Come si vede, la depressione non è soltanto una forma estrema di tristezza, ma un disturbo che influenza sia la mente che il corpo, incluse le funzioni cognitive, il comportamento, il sistema nervoso periferico e il sistema immunitario.

A volte insieme ai sintomi depressivi si osserva anche la presenza di sintomi ansiosi:

  1. Paure intense, per esempio di morire, impazzire, di perdere il controllo, ecc.
  2. Sintomi fisici come tachicardia, brividi, sudorazione, senso di soffocamento, vampate.
  3. Percezione alterata di sé e della realtà (cioè sintomi definiti in letteratura come depersonalizzazione e derealizzazione, che normalmente vengono commentati dai nostri pazienti con un: “Non so spiegare come mi sento, ma è terribile!”).

In questi casi siamo di fronte a una sintomatologia mista depressivo-ansiosa

Forme depressive particolari

A volte il manifestarsi di una sofferenza depressiva è legato a situazioni ed eventi particolari, come per esempio lutti, separazioni, fallimenti, malattie organiche, post parto, mutamento stagionale.

In molti casi la depressione si manifesta in forma “mascherata”: può presentarsi con stanchezza, dolori, piccole febbri persistenti, ecc., mentre i sintomi affettivi sono meno presenti. Quando viene “somatizzata”, cioè proiettata sul corpo, c’è il rischio che il soggetto scambi il disturbo psicologico per disturbo medico, e si perda in infiniti accertamenti clinici, senza capire che il problema è di natura diversa.

L’esperienza soggettiva della depressione

Pur definendo la depressione come una condizione caratterizzata prevalentemente da profonda tristezza, scarsa capacità di provare interesse e rallentamento psicomotorio, a una valutazione più attenta, possiamo distinguere due tipi di vissuti depressivi. Tale distinzione diventa importante nell’orientare il terapeuta verso il percorso più opportuno.
Da una parte ci sono i soggetti con vissuto depressivo di tipo anaclitico, mentre dall’altra ci sono quelli con vissuto di tipo introiettivo.

Nella depressione anaclitica, il sentimento dominante è quello della perdita di una o più persone importanti. Si manifesta come un senso di solitudine e di vuoto, causato dal non avere una persona a cui affidarsi e da cui sentirsi aiutati e sostenuti.

L’aspetto sorprendente è che questa sensazione può manifestarsi anche se nella vita reale del soggetto sono presenti figure che, al contrario di quanto sperimentato emotivamente, sono presenti e sollecite.

I pazienti di questo tipo sono quelli che ci raccontano di sentirsi vuoti e inadeguati perché si sentono abbandonati dal partner, non amati, anche quando il partner è in realtà presente.

Le emozioni profonde della depressione anaclitica sono la paura di essere abbandonati, isolati, non amati; essa si caratterizza per gli strenui tentativi di mantenere un contatto fisico diretto con la persona che gratifica i bisogni affettivi; per il desidero di essere confortati, aiutati, nutriti e protetti; per la paura di esprimere all’altro il proprio dolore, o rabbia perché questo potrebbe farlo allontanare.

La depressione introiettiva investe soprattutto l’immagine di sé . C’è una forte insoddisfazione per se stessi che genera continue autocritiche, severe e giudicanti. Il vissuto, in questo caso, è caratterizzato da forti sentimenti di inferiorità, dall’impressione di non valere e di essere colpevoli per qualcosa; dalla sensazione di non essere all’altezza delle proprie aspettative. Spesso la sensazione di inadeguatezza produce anche la paura di non essere considerati, riconosciuti e stimati e da qui il timore che gli altri possano non approvarci, o non accettarci. L’autostima soffre gravemente per questi continui attacchi di autocritica e per la paura che gli altri ci considerino delle nullità.

Come si sviluppa una depressione?

Le ricerche ci aiutano a conoscere sempre meglio le condizioni di sviluppo della depressione. Si è chiarito per esempio che nei soggetti depressi è più attiva la concatenazione di eventi neurofisiologici che osserviamo normalmente come reazione allo stress.
Si tratta di processi che coinvolgono il sistema endocrino, immunitario e il sistema nervoso, e che generano una reazione a catena: un aumento del fattore di rilascio della corticotropina (CRF), in una piccola area che si trova nel cervello chiamata ipotalamo, produce un aumento dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH), responsabile dell’aumento del tasso di cortisolo, il quale causa un’alterazione del sistema serotoninergico, fattore importante nella depressione.

Questa catena biochimica può essere “accesa” come un interruttore in due modi: da eventi stressanti importanti e imponenti, che si abbattono come una tempesta sul nostro equilibrio emotivo (la morte di una persona cara, violenze, gravi problemi coniugali, separazioni o divorzi, ecc.); oppure

da esperienze precoci di trascuratezza, abuso, abbandono, o separazione. Alcuni pazienti, per esempio, possono denunciare un disturbo depressivo nei mesi successivi a un trasloco. In questi casi si potrà constatare che nell’universo simbolico e affettivo di quel soggetto, il fatto di cambiare casa si lega in qualche modo ai temi della separazione e dell’abbandono, e che quei temi hanno avuto a loro volta un ruolo importante nella sua esperienza pregressa.

Cosa fare?

Tutti gli autori che in anni recenti si sono occupati di depressione si trovano concordi nel sostenere che la diffusione delle varie sintomatologie di natura depressiva (alcuni sostengono addirittura, che il problema possa coinvolgere, se comprendiamo anche le forme lievi, addirittura il 50% della popolazione!) non è tanto legata alla difficoltà di trovare cure efficaci per il trattamento quanto al fatto che la depressione tende a non essere curata, o viene mal curata.
La depressione è un’esperienza terribile per chi la vive, spesso rappresenta un brusco stop nel percorso di vita, un “tunnel” che coinvolge non solo il soggetto ma anche la sua famiglia, e che ha ripercussioni deleterie sulle relazioni, sul lavoro, e sugli affetti. Eppure, nella quasi totalità dei casi, un trattamento adeguato è in grado di normalizzare la vita psichica.

Ma allora ci chiediamo: se le cose stanno così, come mai moltissime depressioni continuano a non essere trattate o non vengono trattate adeguatamente, nonostante l’efficacia delle terapie disponibili?

I motivi possono essere tanti. Un fattore a nostro giudizio importante ha a che fare con la rappresentazione dei disturbi emotivi come condizione di debolezza e di inadeguatezza, a fronte di modelli culturali che esaltano e valorizzano la forza, la sicurezza, la determinazione. Ciò rischia di creare nella persona una non accettazione del proprio vissuto. Si preferisce minimizzare la sofferenza e negarla piuttosto che accettare di avere un problema e dover chiedere aiuto.

Meglio dirci che passerà, attribuire la sofferenza al lavoro, ai figli, ai problemi con il partner, piuttosto che ammettere a noi stessi che qualcosa dentro si è spezzato. Dirlo significherebbe dichiarare di avere qualcosa che non va, e questo potrebbe farci sentire dipendenti, bisognosi, difettosi, ammalati.

In altri casi, soprattutto in situazioni più gravi, succede invece l’opposto: il soggetto entra completamente nel ruolo dell’ammalato, e tende a rappresentare la propria condizione senza via d’uscita, come destino ineluttabile, come fine di ogni cosa.

A volte questi soggetti dicono di avere “l’esaurimento nervoso”, che è una definizione abbastanza usuale nel linguaggio comune, ma inesistente come categoria psicopatologica.

Il concetto di esaurimento nervoso e fuorviante, perché porta con sé una teoria sottostante inesatta e dannosa, che potremmo descrivere così: il dolore sentito, dipende da una energia psichica che è finita, si è consumata, si è appunto esaurita. Ne consegue l’inutilità di qualunque intervento. Non c’è modo di ristabilire l’energia psichica esaurita, così come non si può ottenere un fiammifero integro da uno che si è consumato e si è spento.

Le cose in realtà non stanno così, nella depressione “l’energia” non si è consumata, ma viene impiegata in modo errato, investita in rappresentazioni, affetti, emozioni che producono dolore. È questa la distorsione sulla quale interviene la psicoterapia.

Il primo passo che deve fare chi soffre di depressione è sforzarsi di vedere le cose in un altro modo, trovare la forza di ammettere di essere in difficoltà e avere il coraggio di chiedere aiuto, anche se la tentazione sarebbe quella di negarlo. Ammetterlo è difficile perché è un po’ come rassegnarsi a essere incapaci di reagire, dichiarare di essere deboli, inadeguati, e questo ci fa sentire in colpa, perché ci sembra di non potere fare fronte alle nostre responsabilità.

In questi casi, andrebbe ricordato che quel senso di inadeguatezza, di fallimento e di colpa è parte integrante della sintomatologia depressiva. Così come, è parte della sintomatologia l’atteggiamento rinunciatario, che fa rassegnare di fronte al dolore e non lascia più intravedere un futuro, come se si fosse arrivati a un punto morto, come se non ci fosse più niente da fare né da desiderare.

In realtà il momento in cui il soggetto diventa consapevole di avere un disturbo emotivo, che deve essere trattato e che necessita di un aiuto, è importante, perché è il primo passo per invertire la rotta. In quel momento è come se una voce interiore stesse dicendo che è giunta l’ora di occuparsi del problema, di affrontarlo. Questa propensione attiva dice basta al senso di fallimento e pone il soggetto in una prospettiva di cambiamento e di ricerca di una soluzione, che interrompe l’idea patologica secondo cui non c’è niente da fare.

Trattamento della depressione

In generale possiamo dire che un trattamento adeguato è in grado di ridurre sensibilmente la sintomatologia depressiva nei casi più gravi, e di restituire un funzionamento di base come quello pre malattia, nella maggior parte delle situazioni.
I progressi della ricerca sui disturbi dell’umore suggeriscono che sia i farmaci che la psicoterapia possono essere necessari nel trattamento della depressione maggiore: i farmaci possono influenzare i meccanismi biochimici che sottendono la sintomatologia, mentre, la psicoterapia risulta necessaria per esplorare i significati associati ai fattori stressanti che alimentano il circolo depressivo, nonché per allentare i nessi tra esperienze traumatiche del passato e situazione di vita attuale.

Contrariamente a quanto si ritiene, il farmaco da solo non è in grado, nella maggior parte dei casi, di risolvere il disturbo, ma solo di alleviarne i sintomi: una ricerca di C.B. Nemeroff (1998) dimostra che solo il 65 % dei pazienti depressi risponde a un antidepressivo con una riduzione del 50% della gravità dei sintomi e che addirittura solo il 30% torna a uno stato di benessere e serenità.

Inoltre, la terapia farmacologica è spesso inefficace nella depressione minore e questi pazienti possono avere invece bisogno di una psicoterapia per essere restituiti a un funzionamento normale (Thase e coll. 1997).

Nelle depressioni maggiori l’associazione di farmacoterapia e psicoterapia risulta di gran lunga l’approccio più efficace (Thase e coll. 1997, Keller e coll. 2000).

Un discorso a parte va fatto sui rapporti tra depressione e disturbi di personalità. Non prima però di avere chiarito cosa intendiamo con questo termine.

Nelle discipline psicologiche si intende per Personalità l’insieme di aspetti di una persona che hanno un basso tasso di variabilità nel tempo. Ci riferiamo, volendo semplificare, al carattere di una persona, al suo modo tipico e unico di funzionare, sentire, pensare, agire, il quale rimane costante nel tempo e nelle diverse situazioni.

Ebbene, a volte è proprio questa dimensione che si altera e in questi casi parliamo di disturbi della personalità. Essi sono trattabili con la psicoterapia e non con i farmaci, i quali possono intervenire al limite su alcuni sintomi che compongono il disturbo, ma non sull’insieme dello stesso.

Tornando alle connessioni tra depressione e personalità, possiamo affermare da una sintesi della letteratura, che ci sono sufficienti evidenze sui seguenti punti:

  1. Certi disturbi di personalità possono contribuire a mantenere una depressione in atto.
  2. Oltre al disturbo depressivo, esiste un disturbo depressivo di personalità, cioè una condizione che, pur manifestandosi con una sintomatologia di tipo depressivo, riguarda l’assetto globale di funzionamento della persona.
  3. Nei disturbi di personalità gravi, come quello borderline, si riscontrano sintomi di tipo depressivo che sono però da considerarsi entro il quadro del disturbo di personalità stesso e non come entità a sé.

Nei casi in cui i sintomi depressivi sono sostenuti o secondari a un disturbo di personalità, i fattori caratterologici implicati possono ostacolare la capacità dei farmaci di incidere sul vissuto depressivo. Al contrario, la psicoterapia costituisce un’importante risorsa che consente di agire sia sul disturbo di personalità che sulla sintomatologia depressiva.

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