Quando gli affetti fanno prepotentemente capolino nel nostro sentire e conquistano il centro del nostro palcoscenico vitale…
Chi soffre di ansia riferisce esperienze che possono essere anche molto diverse, per esempio:
“Ho la mente inondata di pensieri brutti e spaventosi; mi sento un fascio di nervi, sento un peso al ventre, al petto, ho il respiro corto; non riesco a stare tranquillo né fermo, sento che sto per crollare”.
“Mi sento come se non fossi io, come se fossi vuoto, come un fantasma. Mi sento lontano dalle cose intorno a me, in un’altra dimensione, letteralmente a pezzi”.
“Temo continuamente di crollare, di perdere il controllo, che qualcosa possa prendere il sopravvento su di me. È come se dietro l’angolo mi aspettasse sempre una tragedia. Passo il tempo a dirmi: e se succedesse questo? E se succedesse quello? E non vivo più!”
Esperienza affettiva dell’ansia
Ansia superegoica o morale: in cui ci si sente colpevoli e ci si tormenta perché non si conduce una vita in linea con uno standard interno, con aspettative di valore o precetti morali. È un’ansia caratterizzata da pensieri di autoaccusa, come quello di non essere un bravo figlio, o un bravo genitore, o dalla sensazione di essere sbagliati perché non si è come si dovrebbe essere.
Ansia di castrazione: al di là del nome, non ha nulla a che vedere (se non sul piano simbolico) con l’evirazione. È incentrata sul timore di essere puniti o subire ritorsioni da parte di figure che sentiamo vendicative e potenti, di ricevere un danno. È la paura di essere sgridati, umiliati, castigati ed essere ridotti all’impotenza da qualcuno forte e potente.
Paura di perdere l’amore: è il timore di non essere amati, di non avere l’approvazione, la stima dell’altro.
Ansia di separazione: è la paura primitiva di perdere non tanto l’amore quanto l’altra persona, e di trovarsi improvvisamente soli, vuoti, senza speranza di andare avanti. La perdita dell’altro coincide con una sorta di crollo di sé.
Angoscia persecutoria: paura che gli altri possano invaderci e annichilirci
Angoscia di frammentazione: paura della disintegrazione del Sé, di essere divorati o inghiottiti, di morire.
L’esperienza cognitiva e somatica dell’ansia
Ansia e reazione al pericolo
Qual è il significato della paura? A cosa serve avere paura? Possiamo fare a meno della paura? Anche se si tratta di un sentimento sgradevole, la paura svolge in realtà una funzione importantissima: si tratta infatti di un sistema di protezione che ci garantisce la sopravvivenza di fronte ai pericoli. Continua lettura 〉
Ma cosa c’entra la paura che si prova di fronte a una minaccia reale, i pericoli che minacciavano gli uomini primitivi con l’ansia di cui stiamo parlando?
Paura e ansia sono senz’altro fenomeni differenti, ma in qualche modo apparentati. Il denominatore comune è la reazione fisica ed emotiva che li accompagna: in entrambi i casi, infatti, il nostro organismo produce ormoni in grado di metterci in allerta e di incrementare la nostra capacità di reazione. Ma c’è una differenza fondamentale tra paura e ansia: la prima si attiva davanti a un pericolo reale e presente (la paura è quella che provo, per esempio, se mi trovo davanti a un aggressore), l’ansia invece nasce da una sensazione di pericolo futuro, senza che vi sia nulla di minaccioso da affrontare nel presente.
L’ansia è una reazione a un pericolo non presente
L’ansia è uno stato di allerta per una minaccia che arriverà, è come una “spada di Damocle” che pende sulla nostra testa.
Facciamo un esempio: immaginiamo di dover sostenere un esame e che questa prospettiva generi in noi uno stato di profonda tensione. Quello stato non è di paura, perché la minaccia non è presente, ma si tratta di ansia anticipatoria per un pericolo che si prospetta davanti a noi. Apprendiamo così una cosa importante sull’ansia. Essa è la reazione a un pericolo che non c’è davvero, ma che ci prospettiamo.
L’ansia è un segnale di pericolo che riguarda la dimensione mentale e affettiva
Ecco un altro tassello per comprendere cosa è l’ansia: essa è la reazione a un pericolo che non ci minaccia fisicamente ma piuttosto psicologicamente ed emotivamente. Una minaccia che ha a che fare con il mondo interiore della persona, con dinamiche in cui assumono importanza il senso di colpa, i timori per eventuali ritorsioni, la disapprovazione, il giudizio da parte degli altri, pensieri di perdita, di abbandono, di frammentazione, di morte, ecc.
Naturalmente, questo apre un’altra questione: come si attua questa previsione di pericolo?
Qui viene il bello: l’anticipazione è un fatto assolutamente soggettivo e varia da individuo a individuo.
Ci sono soggetti che progettano viaggi nel deserto, tra predoni e minacce di ogni genere, senza farsi neppure sfiorare dal timore per ciò che può succedere. E ci sono persone che sperimentano un’ansia incontenibile all’idea di entrare in un negozio, o di affrontare una cena con gli amici.
Probabilmente il mondo interiore di significati, esperienze, rappresentazioni e affetti, nel primo caso è diverso dal secondo, e questo determina una diversa percezione del pericolo nelle varie situazioni. Per questo alcune persone sono più ansiose di altre.
Ansia e dinamiche affettive inconsce
In questi casi, la reazione ansiosa non è innescata da una previsione di pericolo legata a un evento futuro circoscritto e definito, o a preoccupazioni affettive individuabili dal soggetto, ma è frutto di dinamiche affettive interne e personali che il soggetto stesso ignora, e che vanno ricercate in quegli strati della mente che chiamiamo inconscio.
Infatti, come già dimostrato da Freud a suo tempo, una parte delle nostre dinamiche psichiche lavora al di sotto della coscienza. Esistono a nostra insaputa. In questa dimensione affettiva inconscia, la percezione del presente e le memorie del passato si intrecciano e si confondono, spesso si attivano schemi o abitudini di significazione che collegano situazioni di vita presenti a esperienze passate e dimenticate. Da qui possono generarsi errori grossolani che inducono il soggetto a produrre reazioni ansiose di fronte a situazioni del presente, semplicemente perché le vive interiormente come se fossero altre esperienze, ben più drammatiche e pericolose, che appartengono alla sua storia.
L’ansia deriva quindi da circuiti neuronali che tendono a innescare reazioni di pericolo anche quando non c’è nulla da temere. Essi si strutturano nel corso della nostra storia, fin dal primo istante di vita, in conseguenza a esperienze relazionali ripetute e disfunzionali. Si generano a partire dalle esperienze di crescita e attaccamento alle figure significative (genitori, fratelli, sorelle, familiari, precettori, ecc.). Queste producono impressioni che si imprimono in noi come su un nastro magnetico, generando una stratificazione di memorie. Si tratta di prototipi esperienziali. Se la paura domina questi prototipi interni, sarà un ingrediente sempre presente nella nostra vita, ed è proprio questo timore sempre in agguato che chiameremo ansia.
Disturbi d’ansia
Terapia dell’ansia
La psicoterapia psicodinamica considera l’ansia come la “punta di un iceberg”, come l’elemento visibile di dinamiche e assetti di funzionamento psichico inconscio. Il clinico deve comprendere di quale genere di ansia si tratta, valutare la collocazione del sintomo ansioso nel quadro della organizzazione della personalità e nell’assetto di costellazioni relazionali interne, e individuare quale tipo di percorso risulta appropriato, in relazione alla valutazione clinica e alle necessità del paziente. Alcuni pazienti possono rispondere a interventi educativi e chiarificatori; altri, con sintomi focali e dotati di un Io “forte”, possono presentare una riduzione dell’ansia in seguito a una terapia dinamica breve. I pazienti nevrotici con meno disturbi focali, e interessati a intraprendere un percorso di cambiamento della personalità, possono avere bisogno di un trattamento analitico. Infine, soggetti con patologie del carattere e che soffrono di d’ansia avranno bisogno di una psicoterapia espressivo-supportiva a lungo termine, prima di avere un sollievo sintomatico.
Se la psicoterapia associata ai farmaci (se necessari) può essere considerata il trattamento di elezione per l’ansia, dobbiamo riconoscere che ulteriori contributi possono favorirne la gestione e la guarigione. Tra questi è doveroso citare la Mindfulness.
Mindfulness e ansia
La Mindfulness viene utilizzata con successo nella cura dell’ansia, questo perché ha l’effetto di ridurre sensibilmente l’attivazione ormonale implicata nella risposta ansiosa stessa. Mi riferisco all’iper produzione, soprattutto di adrenalina, ma anche di cortisolo, chiamati anche ormoni dello stress, perché tendono a essere prodotti dall’organismo proprio in tali condizioni. Sappiamo dalle ricerche che questi ormoni hanno effetto “tossico” sulla salute, ed è per questo che la meditazione di consapevolezza, limitandone la produzione, ha effetti protettivi. Non solo protegge dall’ansia e la limita, ma è efficace anche per la depressione e gli attacchi di panico; aiuta in gran parte degli stati di sofferenza soggettiva, riducendo il rischio di disturbo psicopatologico.
Sul piano fisico, aumenta la funzione immunitaria, riduce i rischi di malattie cardiache, gastroenteriche e di neoplasie. È inoltre utilizzata con successo nella terapia del dolore cronico (come mal di schiena e mal di testa). Varie ricerche dimostrano anche l’efficacia nell’accelerare la guarigione in soggetti trattati con chemioterapia.
La consapevolezza Mindfulness migliora anche il senso di benessere psicologico, riduce il senso di ottundimento e di vuoto, aumenta la capacità di concentrazione.
Infine, ha effetti anche sul piano interpersonale: migliora la capacità di empatizzare ed entrare in sintonia con gli altri, la capacità di sentire il loro mondo interiore e di comprenderne il punto di vista; aiuta ad avere un atteggiamento più aperto, in cui noi stessi siamo più disponibili e fiduciosi e meno critici e giudicanti. Tutto ciò ha il merito di migliorare la qualità delle relazioni interpersonali.
Negli stati d’ansia è particolarmente attivo un centro nervoso chiamato amigdala. Questa piccola ghiandola, che si trova al centro del cervello, tende a essere molto attiva negli stati ansiosi e addirittura si può osservare, grazie a tecniche di neuroimaging, che nei soggetti ansiosi, cresce di dimensioni. Alcuni studi hanno confermato che la pratica regolare della Mindfulness è in grado di ridurre l’attività dei centri nervosi maggiormente implicati nella nascita dell’ansia, tra cui proprio l’amigdala.