Ansia e panico

Quando gli affetti  fanno prepotentemente capolino nel nostro sentire e conquistano il centro del  nostro palcoscenico vitale…

L’ansia è un’emozione che mescola, in varia misura, inquietudine, paura e persino terrore. A volte, senso di estraniamento.È un sentimento drammatico e intrusivo, in certi casi cronico e invalidante, in grado di compromettere la qualità di vita di una persona, e di riflettersi sul piano fisico con le più disparate manifestazioni: tachicardia, oppressione al petto, affanno, diarrea…

Chi soffre di ansia riferisce esperienze che possono essere anche molto diverse, per esempio:

“Ho la mente inondata di pensieri brutti e spaventosi; mi sento un fascio di nervi, sento un peso al ventre, al petto, ho il respiro corto; non riesco a stare tranquillo né fermo, sento che sto per crollare”.

“Mi sento come se non fossi io, come se fossi vuoto, come un fantasma. Mi sento lontano dalle cose intorno a me, in un’altra dimensione, letteralmente a pezzi”.

“Temo continuamente di crollare, di perdere il controllo, che qualcosa possa prendere il sopravvento su di me. È come se dietro l’angolo mi aspettasse sempre una tragedia. Passo il tempo a dirmi: e se succedesse questo? E se succedesse quello? E non vivo più!”

Esperienza affettiva dell’ansia

La letteratura psicodinamica ha individuato vari tipi di ansia o angosce, a partire da quelle più evolute – ovvero riferite a vicende più recenti nel percorso di crescita individuale –, per arrivare a quelle più primitive, che al contrario si riferiscono a fasi più antiche dell’esperienza.
Le tipologie di ansia sono :
Ansia superegoica o morale: in cui ci si sente colpevoli e ci si tormenta perché non si conduce una vita in linea con uno standard interno, con aspettative di valore o precetti morali. È un’ansia caratterizzata da pensieri di autoaccusa, come quello di non essere un bravo figlio, o un bravo genitore, o dalla sensazione di essere sbagliati perché non si è come si dovrebbe essere.

Ansia di castrazione: al di là del nome, non ha nulla a che vedere (se non sul piano simbolico) con l’evirazione. È incentrata sul timore di essere puniti o subire ritorsioni da parte di figure che sentiamo vendicative e potenti, di ricevere un danno. È la paura di essere sgridati, umiliati, castigati ed essere ridotti all’impotenza da qualcuno forte e potente.

Paura di perdere l’amore: è il timore di non essere amati, di non avere l’approvazione, la stima dell’altro.

Ansia di separazione: è la paura primitiva di perdere non tanto l’amore quanto l’altra persona, e di trovarsi improvvisamente soli, vuoti, senza speranza di andare avanti. La perdita dell’altro coincide con una sorta di crollo di sé.

Angoscia persecutoria: paura che gli altri possano invaderci e annichilirci

Angoscia di frammentazione: paura della disintegrazione del Sé, di essere divorati o inghiottiti, di morire.

L’esperienza cognitiva e somatica dell’ansia

Le manifestazioni cognitive dell’ansia possono includere distrazione, confusione, difficoltà di pensiero. A livello corporeo, negli gli stati d’ansia, possono svilupparsi tensione, mani sudate, batticuore, cerchio alla testa, difficoltà respiratorie, la sensazione di essere staccati dal corpo, vari gradi di attivazione del fisico e del sistema nervoso autonomo.

Ansia e reazione al pericolo

L’ansia e il panico coinvolgono il fisico e la mente, e hanno a che fare, in generale, con il sentimento della paura. Soffermiamoci un momento su questa emozione:

Qual è il significato della paura? A cosa serve avere paura? Possiamo fare a meno della paura? Anche se si tratta di un sentimento sgradevole, la paura svolge in realtà una funzione importantissima: si tratta infatti di un sistema di protezione che ci garantisce la sopravvivenza di fronte ai pericoli.

È un sistema che ereditiamo dai nostri progenitori, vissuti in ambienti spesso ostili e pericolosi, in cui la possibilità di sopravvivenza era legata alla capacità di reagire in pochi istanti a situazioni potenzialmente pericolose, con reazioni di attacco o fuga. Quegli antichi parenti hanno potuto sopravvivere proprio perché contavano su un meccanismo di difesa che ha del miracoloso: di fronte a un pericolo, in qualche decimo di secondo, nel nostro corpo avvengono reazioni chimiche sconvolgenti, in grado di renderci particolarmente attenti, reattivi, forti, pronti alla fuga, veloci … insomma, capaci di salvarci quando le cose si mettono male. La paura comprende tutti questi fenomeni ed è per questo un sentimento “salvavita”. Se l’essere umano non avesse avuto la possibilità di provare questo sentimento probabilmente si sarebbe estinto.

Ma cosa c’entra la paura che si prova di fronte a una minaccia reale, i pericoli che minacciavano gli uomini primitivi con l’ansia di cui stiamo parlando?

Paura e ansia sono senz’altro fenomeni differenti, ma in qualche modo apparentati. Il denominatore comune è la reazione fisica ed emotiva che li accompagna: in entrambi i casi, infatti, il nostro organismo produce ormoni in grado di metterci in allerta e di incrementare la nostra capacità di reazione. Ma c’è una differenza fondamentale tra paura e ansia: la prima si attiva davanti a un pericolo reale e presente (la paura è quella che provo, per esempio, se mi trovo davanti a un aggressore), l’ansia invece nasce da una sensazione di pericolo futuro, senza che vi sia nulla di minaccioso da affrontare nel presente.

L’ansia è una reazione a un pericolo non presente

L’ansia, quindi, non è altro che una reazione fisica e mentale analoga alla paura, solo che si attiva, non in presenza di un pericolo reale, ma a fronte di a una previsione di pericolo.
Volendo, potremmo dire che il sistema nervoso, a volte, prende “lucciole per lanterne”: reagisce a un pericolo che potrebbe presentarsi in futuro come se fosse in presenza di un pericolo attuale e concreto.

L’ansia è uno stato di allerta per una minaccia che arriverà, è come una “spada di Damocle” che pende sulla nostra testa.

Facciamo un esempio: immaginiamo di dover sostenere un esame e che questa prospettiva generi in noi uno stato di profonda tensione. Quello stato non è di paura, perché la minaccia non è presente, ma si tratta di ansia anticipatoria per un pericolo che si prospetta davanti a noi. Apprendiamo così una cosa importante sull’ansia. Essa è la reazione a un pericolo che non c’è davvero, ma che ci prospettiamo.

L’ansia è un segnale di pericolo che riguarda la dimensione mentale e affettiva

L’ansia quindi ha a che fare con un pericolo anticipato o immaginato. Ma di quale pericolo parliamo? Cosa rischiamo nell’affrontare, per esempio, un esame? Certamente non corriamo alcun pericolo fisico. A essere in gioco non è l’incolumità fisica, ma una sorta di incolumità mentale, qualcosa che ha a che fare con le dinamiche affettive della persona.
Ciò che un esame mette a dura prova è la mia autostima, il senso di accettazione o rifiuto da parte delle persone che ritengo importanti, l’immagine che ho di me stesso. Siccome la prospettiva di un fallimento risulta pericolosa per il mio equilibrio e per il mio benessere mentale, esso innesca una reazione analoga a quella che si produrrebbe davanti a una belva feroce. È come se il nostro sistema nervoso considerasse la commissione d’esame alla stregua di un aggressore.

Ecco un altro tassello per comprendere cosa è l’ansia: essa è la reazione a un pericolo che non ci minaccia fisicamente ma piuttosto psicologicamente ed emotivamente. Una minaccia che ha a che fare con il mondo interiore della persona, con dinamiche in cui assumono importanza il senso di colpa, i timori per eventuali ritorsioni, la disapprovazione, il giudizio da parte degli altri, pensieri di perdita, di abbandono, di frammentazione, di morte, ecc.

Naturalmente, questo apre un’altra questione: come si attua questa previsione di pericolo?

Qui viene il bello: l’anticipazione è un fatto assolutamente soggettivo e varia da individuo a individuo.

Ci sono soggetti che progettano viaggi nel deserto, tra predoni e minacce di ogni genere, senza farsi neppure sfiorare dal timore per ciò che può succedere. E ci sono persone che sperimentano  un’ansia incontenibile all’idea di entrare in un negozio, o di affrontare una cena con gli amici.

Probabilmente il mondo interiore di significati, esperienze, rappresentazioni e affetti, nel primo caso  è diverso dal secondo, e questo determina una diversa percezione del pericolo nelle varie situazioni. Per questo alcune persone sono più ansiose di altre.

Ansia e dinamiche affettive inconsce

Per completare il quadro, dobbiamo dire che le dinamiche di pensiero che elaborano le suddette anticipazioni di pericolo, spesso lavorano al di sotto della soglia della coscienza, e rispondono a percorsi diversi da quelli logico-razionali. Mentre l’ansia innescata dall’esame è riconducibile a qualcosa di conosciuto – sono preoccupato per la brutta figura che potrei fare non rispondendo alle domande –, nella maggior parte dei casi, non è riferibile a qualcosa di preciso, non si ha traccia del “pericolo” che l’ha scatenata.
Chi soffre di ansia può svegliarsi nel cuore della notte, con il cuore che batte all’impazzata e in preda alla paura, o essere sopraffatto all’improvviso, da un panico terrificante, senza sapere cosa possa aver scatenato queste reazioni.

In questi casi, la reazione ansiosa non è innescata da una previsione di pericolo legata a un evento futuro circoscritto e definito, o a preoccupazioni affettive individuabili dal soggetto, ma è frutto di dinamiche affettive interne e personali che il soggetto stesso ignora, e che vanno ricercate in quegli strati della mente che chiamiamo inconscio.

Infatti, come già dimostrato da Freud a suo tempo, una parte delle nostre dinamiche psichiche lavora al di sotto della coscienza. Esistono a nostra insaputa. In questa dimensione affettiva inconscia, la percezione del presente e le memorie del passato si intrecciano e si confondono, spesso si attivano schemi o abitudini di significazione che collegano situazioni di vita presenti a esperienze passate e dimenticate. Da qui possono generarsi errori grossolani che inducono il soggetto a produrre reazioni ansiose di fronte a situazioni del presente, semplicemente perché le vive interiormente come se fossero altre esperienze, ben più drammatiche e pericolose, che appartengono alla sua storia.

L’ansia deriva quindi da circuiti neuronali che tendono a innescare reazioni di pericolo anche quando non c’è nulla da temere. Essi si strutturano nel corso della nostra storia, fin dal primo istante di vita, in conseguenza a esperienze relazionali ripetute e disfunzionali. Si generano a partire dalle esperienze di crescita e attaccamento alle figure significative (genitori, fratelli, sorelle, familiari, precettori, ecc.). Queste producono impressioni che si imprimono in noi come su un nastro magnetico, generando una stratificazione di memorie. Si tratta di prototipi esperienziali. Se la paura domina questi prototipi interni, sarà un ingrediente sempre presente nella nostra vita, ed è proprio questo timore sempre in agguato che chiameremo ansia.

Disturbi d’ansia

L’ansia spesso è presente in gran parte dei disturbi mentali, come fosse una sorta di denominatore comune trasversale a tutti gli stati di sofferenza. Nella classificazione tradizionale, però, alcuni disturbi, in cui la componente ansiosa è preponderante, vengono classificati come Disturbi d’ansia. Essi sono il Disturbo da attacchi di panico, le Fobie, il Disturbo Ossessivo Compulsivo, il Disturbo Post-Traumatico e Acuto da Stress, il Disturbo d’Ansia Generalizzato.

Terapia dell’ansia

La letteratura indica, per la terapia dell’ansia, l’efficacia della Psicoterapia, coadiuvata in certi casi, e a breve termine, dalla farmacoterapia. Questo significa che i farmaci possono aiutare, ma non costituiscono un intervento risolutivo. Con i farmaci benzodiazepinici si possono controllare le reazioni ansiose per ciò che concerne le sue componenti fisiologiche, senza però influenzare gli aspetti cognitivi e affettivi della preoccupazione, che permane.
Inoltre, gli ansiolitici possono ridurre l’ansia, ma si rivelano ben presto come una soluzione senza via d’uscita, per il semplice fatto che generalmente la loro efficacia dura finché si continua ad assumerli. Si stima che la frequenza di ricadute dopo l’interruzione della farmacoterapia è tra il 63 e l’83 percento.

La psicoterapia psicodinamica considera l’ansia come la “punta di un iceberg”, come l’elemento visibile di dinamiche e assetti di funzionamento psichico inconscio. Il clinico deve comprendere di quale genere di ansia si tratta, valutare la collocazione del sintomo ansioso nel quadro della organizzazione della personalità e nell’assetto di costellazioni relazionali interne, e individuare quale tipo di percorso risulta appropriato, in relazione alla valutazione clinica e alle necessità del paziente. Alcuni pazienti possono rispondere a interventi educativi e chiarificatori; altri, con sintomi focali e dotati di un Io “forte”, possono presentare una riduzione dell’ansia in seguito a una terapia dinamica breve. I pazienti nevrotici con meno disturbi focali, e interessati a intraprendere un percorso di cambiamento della personalità, possono avere bisogno di un trattamento analitico. Infine, soggetti con patologie del carattere e che soffrono di d’ansia avranno bisogno di una psicoterapia espressivo-supportiva a lungo termine, prima di avere un sollievo sintomatico.

Se la psicoterapia associata ai farmaci (se necessari) può essere considerata il trattamento di elezione per l’ansia, dobbiamo riconoscere che ulteriori contributi possono favorirne la gestione e la guarigione. Tra questi è doveroso citare la Mindfulness.

Mindfulness e ansia

Con il termine mindfulness si intendono una serie di pratiche meditative di consapevolezza che negli ultimi anni hanno attratto l’attenzione della psicologia clinica scientifica, per gli effetti benefici che paiono avere sulla nostra salute.
L’efficacia di queste pratiche nella cura e nella prevenzione di molti stati di sofferenza psichici e corporei è stata dimostrata da svariati studi scientifici, che evidenziano come la pratica Mindfulness incida a livello fisiologico, psicologico e interpersonale per aumentare lo stato di benessere.

La Mindfulness viene utilizzata con successo nella cura dell’ansia, questo perché ha l’effetto di ridurre sensibilmente l’attivazione ormonale implicata nella risposta ansiosa stessa. Mi riferisco all’iper produzione, soprattutto di adrenalina, ma anche di cortisolo, chiamati anche ormoni dello stress, perché tendono a essere prodotti dall’organismo proprio in tali condizioni. Sappiamo dalle ricerche che questi ormoni hanno effetto “tossico” sulla salute, ed è per questo che la meditazione di consapevolezza, limitandone la produzione, ha effetti protettivi. Non solo protegge dall’ansia e la limita, ma è efficace anche per la depressione e gli attacchi di panico; aiuta in gran parte degli stati di sofferenza soggettiva, riducendo il rischio di disturbo psicopatologico.

Sul piano fisico, aumenta la funzione immunitaria, riduce i rischi di malattie cardiache, gastroenteriche e di neoplasie. È inoltre utilizzata con successo nella terapia del dolore cronico (come mal di schiena e mal di testa). Varie ricerche dimostrano anche l’efficacia nell’accelerare la guarigione in soggetti trattati con chemioterapia.

La consapevolezza Mindfulness migliora anche il senso di benessere psicologico, riduce il senso di ottundimento e di vuoto, aumenta la capacità di concentrazione.

Infine, ha effetti anche sul piano interpersonale: migliora la capacità di empatizzare ed entrare in sintonia con gli altri, la capacità di sentire il loro mondo interiore e di comprenderne il punto di vista; aiuta ad avere un atteggiamento più aperto, in cui noi stessi siamo più disponibili e fiduciosi e meno critici e giudicanti. Tutto ciò ha il merito di migliorare la qualità delle relazioni interpersonali.

Negli stati d’ansia è particolarmente attivo un centro nervoso chiamato amigdala. Questa piccola ghiandola, che si trova al centro del cervello, tende a essere molto attiva negli stati ansiosi e addirittura si può osservare, grazie a tecniche di neuroimaging, che nei soggetti ansiosi, cresce di dimensioni. Alcuni studi hanno confermato che la pratica regolare della Mindfulness è in grado di ridurre l’attività dei centri nervosi maggiormente implicati nella nascita dell’ansia, tra cui proprio l’amigdala.

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