L’hikikomori o autoesclusione è una condizione che riguarda soprattutto giovani maschi. Il problema è stato osservato finora in Giappone, dove risulta molto diffuso, ma sappiamo che si sta propagando a macchia d’olio in molti altri paesi, tra cui, a quanto pare, anche l’Italia. Non abbiamo per ora statistiche ufficiali, ma sembra che i ragazzi che si autoescludono stiano aumentando, e che questo stia avvenendo, con pochissimi riferimenti certi in letteratura che ci aiutino a comprendere fino in fondo il senso di questo fenomeno. Cercherò in questo articolo di darne una descrizione.
Segni distintivi dell’autoesclusione adolescenziale
I segnali di questa condizione sono sostanzialmente i seguenti: ritiro sociale da almeno sei mesi, fobia scolare precedente, talvolta dipendenza da internet e videogiochi, con inversione del ritmo circadiano di sonno-veglia.
La “caduta” in hikikomori è graduale. Nei mesi precedenti alla reclusione in casa, questi ragazzi tendono a soffrire nell’ambito scolastico, dove si sentono inadeguati, incompresi e dove, talvolta, sono vittime di prepotenze e bullismo da parte dei coetanei. A questo si aggiunge un quadro di difficoltà nel rapporto con i compagni, una profonda vergogna, a cui fanno seguito rabbia e senso di umiliazione.
In questo contesto, a un certo punto, questi ragazzi individuano un luogo, cioè la propria stanza, in cui si sentono al sicuro, protetti e tranquilli. E iniziano così a rifugiarvisi, fino a isolarsi completamente. Piano piano, il mondo esterno diventa sempre più sinonimo di insicurezza, paura e vergogna, mentre il rifugio casalingo si trasforma in un luogo che restituisce sensazioni di calore e sicurezza. In contemporanea, spesso, lo spazio angusto della stanza si apre, attraverso internet, a un mondo parallelo. Esso concede all’adolescente rinchiuso vite virtuali altre, vissute nella notte entro il cyberspazio, fra chat e videogiochi, come una possibilità di riscatto, come una seconda occasione identitaria e relazionale per riabilitarsi, dopo la delusione e la vergogna derivanti dalla vita reale.
Quali sono gli elementi che possono spiegarci questo disagio?
Cos’è che induce questi ragazzi a fare una scelta di segregazione volontaria? Quale potente dinamica emotiva è capace di annullare e invertire il bisogno umano di essere liberi, di realizzarsi e di avere relazioni?
La risposta ha a che fare, probabilmente, con lo status dell’adolescente di oggi.
C’è qualcosa nei ragazzi di questo tempo, infatti, che li rende, in molti casi, più esposti a problematiche come quella dell’autosegregazione. Mi riferisco all’importanza che il sentimento della vergogna ha assunto per le nuove generazioni.
Colpa e vergogna
Come illustrato, magistralmente, da Gustavo Pietropolli Charmet (2003, 2008), l’adolescente di oggi è dominato da Narciso e non da Edipo. Secondo Charmet, il sentimento che presiede alla crescita, che si deve affrontare per diventare grandi, per raggiungere lo status di uomini o donne, non è la colpa ma è la vergogna. Applichiamo all’adolescenza una idea di Heinz Kohut. (Per approfondire le caratteristiche della vergogna rispetto alla colpa (vedi qui).
Identikit dell’adolescente di oggi.
L’adolescente si trova a dover rispondere a una serie di richieste implicite al suo processo di crescita, che hanno a che fare proprio con l’immagine di sé. Egli si chiede che genere di adulto sarà. E nel rispondere a questa domanda, è probabile che sentirà forte la pressione di dover aderire alle aspettative che, intorno a sé, a livello familiare, amicale e culturale, sono date come irrinunciabili. Tutto e tutti si aspettano che, una volta adulto, esprima talento, che abbia successo, che sia simpatico, benvoluto, ammirato.
L’adolescente non può che essere condizionato da tutto ciò, ed è per questo che si trova alle prese con un funzionamento mentale che gli chiede molto, e che gli crea grossi imbarazzi.
Il problema è che il ragazzo si trova a dovere affrontare alcune questioni sulla propria identità, da cui può essere messi fortemente in crisi: come fare a realizzare le aspettative di successo riposte in lui? Come diventare un adulto degno delle rappresentazioni grandiose che distinguevano il suo sé bambino? Come continuare a essere quello stesso prodigio, bello, bravo, importante per mamma e papà, sempre applaudito, che vinceva medaglie, che si sentiva al centro del mondo?
Un insieme stratificato di aspettative e promesse tiene sulle spine l’adolescente. Così come molti ricordi memorabili, successi ottenuti da piccolo, prestazioni che facevano ben sperare per il futuro. L’adolescenza segna il momento in cui egli deve diventare l’adulto che ci si aspettava. Gli impegni adesso vanno onorati o traditi. Il tempo per pagare i debiti è arrivato
Fallimento, vergogna e ferita narcisistica.
Purtroppo, gli obiettivi ideali di realizzazione e successo dell’adolescente di oggi, sono anche molto crudeli. Se non vengono raggiunti, egli è costretto a sperimentare una sentimento umano estremamente doloroso, cioè la vergogna per il proprio fallimento, parziale o totale, momentaneo o definitivo, reale o immaginario. L’umiliazione che ne deriva, con l’inevitabile collezione di mortificazioni subite, rende la sua vita un calvario. Da un certo punto di vista, gli adolescenti di un tempo, quelli dominati dalla colpa, erano avvantaggiati, perché la colpa, dopotutto, si cancella facilmente, basta ripararla, chiedere scusa e accettare la punizione per redimersi. La vergogna invece è pervasiva, penetra in tutti gli interstizi della mente, non la si dimentica mai e produce una ferita che continua bruciare, costringendo chi la prova a compiere imprese esagerate e disperate al fine di riscattare il proprio onore, di ricostruire la bellezza della propria immagine, di riabilitare il Sé deturpato, caduto in disgrazia, perché le cose sono andate male, perché non è stato possibile essere quel capolavoro che si doveva essere.
Il fallimento del progetto di sé, l’adolescente lo appura osservandosi nello specchio sociale, nel grado di successo, consenso e ammirazione ottenuti tra i pari, nell’indice di popolarità riscosso con l’altro sesso, nella valutazione dei docenti, nell’approvazione ricevuta dagli adulti (allenatori, educatori, amici, di mamma e papà), oltre che, naturalmente, nell’affetto e nell’accettazione dei propri genitori.
La debolezza dell’adolescente di oggi nasce proprio dalla sua dipendenza dai riconoscimenti. Ha bisogno di uno specchio sociale che ne confermi l’unicità, il valore e utilità. Quando non viene riconosciuto dal mondo in cui vive, per come vive, per come persegue la sua missione di essere un “capolavoro”, ne soffre profondamente. Le ferite narcisistiche sono dolorosissime, sono avvertite come mortificazioni e umiliazioni intollerabili. Il dolore scende in profondità, producendo rabbia impotente e progetti vendicativi. Quando è messo alla gogna, Narciso può diventare davvero violento e cattivo. Oppure può diventare estremamente triste e depresso, mostrando così tutta la sua delusione, per le speranze tradite e per il senso di oltraggio subito.
Hikikomori e fobia scolastica
Se consideriamo i caratteri dell’adolescente di oggi, se teniamo conto del suo vitale bisogno di rispecchiamento, se pensiamo che il riconoscimento, l’ammirazione, l’accettazione, e il consenso sono per lui i mattoni e il cemento per la costruzione del sé adulto, allora capiamo quali rischi possono esserci per lo sviluppo, nel momento in cui il ragazzo vive in contesti sociali in cui i rispecchiamenti affettivi positivi scarseggiano.
Principalmente, ciò che spiega la condotta autosegregativa dell’hikikomori è il tentativo fallito di nascere socialmente, cioè di diventare parte del gruppo dei pari e trovare in questo ambito i nutrimenti narcisistici necessari alla crescita. L’adolescente hikikomori non è accettato dal gruppo, non viene apprezzato, non è ammirato da nessuno. Al contrario, sono tanti i segnali che gli fanno pensare di essere dipinto dagli altri come un bambino, un mammone, uno “sfigato”, una piaga.
A volte, questo sospetto viene confermato anche dagli adulti: nessun attestato di stima, nessuno sguardo benevolo da insegnanti, maestri, allenatori, fino al sospetto, a volte confermato dall’intercettazione involontaria di dialoghi a distanza, che anche i genitori, in fondo in fondo, non sono contenti di lui, ritenendolo/a una delusione.
In tutto questo, la scuola non è solo un luogo formativo, essa assolve a tutta una serie di funzioni simboliche. Rappresenta per l’adolescente, il luogo in cui si separa dalla famiglia, e riesce a ritagliarsi un nuovo scenario in cui fare esperienza del sé adulto fra pari. Il confronto con i coetanei, incontrati a scuola, è normalmente uno dei primi esperimenti per sapere se è apprezzato e se è in grado di farsi amare, anche al di là dello stretto ambito familiare.
Quando a scuola le cose vanno male, sul piano narcisistico, quando si è presi in giro, o si è vittime di bullismo; ci si sente esclusi, emarginati, derelitti, e magari i voti confermano questa impressione, allora diventa un inferno da evitare. Il rischio, in questi casi, è che la vergogna dilaghi e corroda dalle fondamenta il sé. L’unica via possibile è la fobia scolastica, una sintomatologia che è anche una difesa. Con la fobia scolastica il sé si protegge dal rischio di umiliazioni troppo grandi e, a suon di ansia, lo obbliga a stare lontano da quel contesto così micidiale per la propria immagine e per l’autostima.
Nell’autosegregazione dell’hikikomori, la fobia scolare è il punto di partenza. Essa testimonia il fallimento del tentativo di nascita sociale. A questo segue il riflusso, che vede l’adolescente, sconfitto nel mondo esterno, rientrare nell’alveo familiare e materno. Questo avviene per mezzo dell’autoreclusione a casa, nella propria stanza, un ritorno simbolico all’utero, quale luogo accogliente e sicuro.
Hikikomori, autosegregazione, dipendenza da computer e Internet
L’eccesso di dipendenza da mezzi tecnologici, smartphone, Internet e videogiochi è spesso correlato all’esperienza hikikomori. Ma, al contrario di ciò che si crede, non è la dipendenza da Internet e da videogiochi a essere la causa dell’auto-segregazione. Piuttosto vengono dopo l’autoisolamento e sono a esso funzionali per vari motivi. Innanzitutto sono modi per occupare il tempo, senza che il senso di vuoto e la noia siano ingestibili. Dall’altro lato, Internet consente di assumere identità alternative fasulle e immaginarie, che non corrono il rischio di essere svergognate, perché si tratta di finzioni, di sé posticci e molteplici che sono sottratti al confronto con l’altro. Infine la rete dà una forma di esistenza alternativa, anche se virtuale. Se non ci fosse la possibilità di un’esistenza alternativa a quella reale, almeno sul piano virtuale, probabilmente l’autoesclusione dell’hikikomori scivolerebbe completamente nel campo della follia o dell’autodistruttività, fino al suicidio.
Intervento
Nel pensare a un intervento con un soggetto che si autoesclude è necessario considerare il significato profondo del disagio manifestato. Dobbiamo partire con il considerare che la sintomatologia osservata è il segno che l’adolescente si è bloccato e si è sentito sconfitto nel suo tentativo di svolgere i particolari compiti evolutivi, che tutti gli adolescenti si trovano ad affrontare. Compiti che hanno lo scopo di dare un senso ai cambiamenti di questa età, a cominciare da quelli corporei, di fare chiarezza e capire cosa sta succedendo. Egli si trova a dovere dare un senso a nuovi sentimenti e bisogni che si manifestano in relazione alla sessualità; è indispensabile capire come intendere e come realizzare impulsi sconosciuti che inducono a rivolgere la propria socialità e affettività verso i coetanei, e non più verso la cerchia familiare. L’adolescente ha bisogno di capire chi è veramente, che genere di persona è, cosa desidera, cosa lo contraddistingue. Deve andare alla ricerca per scoprire il proprio vero sé, e poi definire la sua nuova identità adulta.
Gli hikikomori sono ragazzi che non sono stati in grado di portare a termine questo compito evolutivo, ed è per questo che l’intervento di psicoterapia ha per obiettivo quello di creare le condizioni perché il compito si compia e che si sblocchi quel processo di costruzione del sé adulto che si è interrotto bruscamente a causa di inadeguati rifornimenti narcisistici.
Le linee di intervento con problematiche di questo genere devono mirare ad analizzare e aiutare l’adolescente a elaborare i nodi nel blocco evolutivo relativo alla nascita come soggetto adulto.
È necessario fornire al ragazzo una relazione di ascolto ed empatia, entro la quale potere trovare adeguati rispecchiamenti e riconoscimenti per creare un’immagine di sé più equilibrata e veritiera. Non da ultimo, bisogna aiutarlo a sentirsi meno solo, e meno esposto al giudizio e alla disapprovazione degli altri.
Un altro importante aspetto dell’intervento riguarda il setting. Non possiamo non tenere conto delle condizioni specifiche in cui interveniamo. Non possiamo pensare di aspettare in studio soggetti che non escono neppure dalla propria stanza. Evidentemente, le modalità di intervento dovranno essere rimodulate in base alla situazione specifica. Si dovrebbe, in caso di necessità, pensare a interventi di tipo domiciliare oppure sfruttare, ai fini della terapia, gli strumenti virtuali abitualmente usati dal giovane.
Nella progettazione di interventi in questo ambito, si può avere anche la necessità di un lavoro con i genitori o con il contesto sociale (compreso quello virtuale), o di coinvolgere altre figure educative o di supporto.
Di sicuro, l’intervento con l’hikikomori è complesso è va adeguatamente progettato, poiché il giovane autosegregato spesso non si aspetta aiuto, né ritiene di averne bisogno. È il soggetto antiterapeutico per eccellenza, colui che oppone a ogni tentativo di contatto un rifiuto. Per questi motivi una terapia classicamente intesa risulta del tutto improponibile.